top of page

CELIACHIA: e se il segreto diagnostico fosse la bocca?

             

 Il ruolo del dentista nella diagnosi di celiachia

Esiste una sintomatologia paucisintomatica e atipica extraintestinale che coinvolge una porzione sempre più ampia di pazienti, nell'ambito della quale il cavo orale rappresenta una concreta finestra alternativa in cui certi disturbi, sospetti, possono nascondere un'eziologia celiaca.

Grazie ad un recente studio pubblicato sulla rivista Oral Surgery, Oral Medicine, Oral Pathology, Oral Radiology, nell'agosto 2017, sembra infatti che alcune lesioni dei tessuti duri e molli della bocca siano dei chiari segnali d'allarme che indicano la necessità di una diagnosi sistemica approfondita! Tra i sintomi principali vanno annoverati, in primis, la stomatite aftosa, in cui le eruzioni ulcerative della mucosa orale sono altamente ripetute nei soggetti con celiachia non ancora diagnosticata, e l'ipoplasia dello smalto dentario, che rappresenta il risultato di disfunzioni amelogeniche durante l'odontogenesi (già obiettivabile in età pediatrica).

Forti associazioni, tuttavia, si identificano anche nei casi di glossite atrofica, dermatite erpetiforme periorale, cheilite angolare, xerostomia-Sjögren derivata, ritardo nello sviluppo delle ossa gnatiche e nell'eruzione dentaria.                                               

In questo contesto, la moderna Patologia e Medicina Orale mette a disposizione dell'Odontoiatra tutti i mezzi necessari ad indirizzare la diagnosi precoce di celiachia, nel ruolo di figura “sentinella"!

​

Ma perché tanto baccano per la celiachia?

-Perché è una patologia infiammatoria cronica: predispone allo sviluppo di un linfoma a cellule T, definito dalla WHO come “enteroepatico”, probabilmente a causa del rilascio di citochine e delle fasi alterne di danno cellulare e rigenerazione, dove l’innesco del processo oncogenico troverebbe terreno altamente favorevole.

-Perché è una patologia autoimmune: il sistema immunitario si scompagina, perde la sua funzionalità, la sua organizzazione così strutturata e finemente precisa, portando a un’alterazione anatomica e/o funzionale di un dato tessuto come se questo venisse costantemente bersagliato da fuoco amico.

La diagnosi della celiachia, proprio per il suo quadro sintomatologico assai eterogeneo, non è sempre tempestiva e agevole. Questa richiede il riscontro di markers sierologici, alias gli anticorpi IgA anti- transglutamminasi (tTG) e anti-endomisio (EMA), assieme all’analisi istologica di seconda e terza porzione duodenale da comparare al quadro anamnestico e laboratoristico.

Il suo follow up, invece, si basa essenzialmente nel monitoraggio delle lesioni istologiche e dei titoli anticorpali a sei mesi dalla diagnosi e poi a un anno, dopo aver eliminato il consumo di glutine dalla dieta del paziente e fornito supplementi vitaminici e minerali che vadano a ripristinare le carenze causate dal malassorbimento. La dieta senza glutine (GFD), inoltre, viene fortemente consigliata anche ai soggetti con sierologia positiva ma asintomatici, in quanto numerosi trials hanno riscontrato come, dopo 12 mesi di adesione a questo regime alimentare, siano migliorati non solo lo stato gastrointestinale complessivo, ma anche la percezione della qualità della vita del soggetto stesso.

 

 

Celiachia e diabete di tipo 1: The dynamic duo

È proprio questo comune terreno eziologico che spiega come mai sia stato riscontrato in studi caso-controllo come pazienti affetti da celiachia siano più soggetti a manifestare al momento della diagnosi -o a presentare successivamente- associazioni con altre patologie autoimmuni, in particolare tiroidite di Hashimoto, psoriasi e, soprattutto, diabete di tipo 1.

Il temutissimo diabete di tipo 1 e celiachia sono dunque correlati, tanto che fra i celiaci la quota di diabetici è di circa l’8%.  Per spiegare questo dato, alcuni ricercatori hanno suggerito di annoverare il consumo di glutine (assieme alla predisposizione genetica e allo stato infiammatorio cronico derivante dall’autoimmunità) quale fattore precipitante nell’insorgenza di questa condizione di overlap, tanto che giusto recentemente si è dimostrato come la sua rimozione sia di beneficio per alleviare i sintomi di celiachia e diabete insieme durante il periodo della gravidanza in topi NOD. Nell’uomo tuttavia mancano ancora evidenze sperimentali a sufficienza per poter stabilire un nesso certo di causa-effetto fra assunzione di glutine e diabete, ma le ricerche per portare allo scioglimento di tale dilemma sono ancora in corso.

Certo è che la presenza di entrambe le patologie documentate nero su bianco va a condizionare rigidamente le scelte alimentari del soggetto, scelte ancor più restrittive in caso di overlap: il controllo non solo degli zuccheri, ma anche la privazione del glutine, possono provocare un carico di stress soprattutto nel bambino, con il risultato di ottenere una bassa compliance alla dieta nonché seguire un regime nutrizionale fortemente sbilanciato. Per questo si raccomanda ai pazienti adulti e ai genitori dei più piccoli di rivolgersi a centri medici specializzati nell’elaborazione di regimi alimentari equilibrati e altamente specifici per tali condizioni. Del resto, mai come in questo caso vale la famosa frase del sommo Ippocrate: “Fa che il cibo sia la tua medicina e che la medicina sia il tuo cibo”.

 

 J.M Aguirre, R Rodríguez, D Oribe, J.C Vitoria, Dental enamel defects in celiac patients, Oral Surgery, Oral Medicine, Oral Pathology, Oral Radiology and Endodontics, Vol. 84, Issue 6, p646–650

Angela Licciardo, Università della Campania Luigi Vanvitelli

Lorenzo Ferraioli, Università “La Sapienza” Roma

 

 

Arance rosso sangue

 

Correlazione tra Vitamina C e Ipertensione Polmonare

 

Ipertensione polmonare: quand’è il piccolo circolo a non funzionare correttamente

 

L'ipertensione polmonare è una condizione patologica in cui la pressione arteriosa polmonare media supera i 25 mmHg a riposo e i 30 mmHg sotto sforzo.

Condizioni quali dispnea, dolore toracico, svenimento e tachicardia sono sintomi di ipertensione polmonare, anche se solo analisi più accurate, quali ad esempio l’ecocardiografia, possono confermare o meno tale ipotesi.

È comprovato che cardiopatie, patologie primitivamente polmonari o malattie interessanti il piccolo circolo possono condurre a tale condizione.

 

È possibile combattere l’ipertensione polmonare con l’alimentazione?

 

Diversi studi hanno dimostrato che l’aumento di dosaggio giornaliero di acido ascorbico, conosciuto con il nome comune di vitamina C, aiuta a diminuire la pressione polmonare.

 

Vitamina C: un grande alleato anche nella lotta all’ipertensione polmonare

 

È una delle vitamine di cui sentiamo più parlare nella vita di tutti i giorni, a testimonianza del suo ruolo fondamentale per il nostro benessere. Possiede infatti diverse funzioni, risultando per esempio fondamentale nella sintesi del collagene, il principale componente del tessuto connettivo. 

Nella comune dieta mediterranea è presente in alimenti quali vegetali a foglia verde, peperoni, pomodori, kiwi e, come spesso ricordato anche dalla conoscenza collettiva e dal titolo, dagli agrumi.

Una sua carenza (dose raccomandata: 100 mg/die) determina la comparsa dello scorbuto, condizione patologica che riguarda principalmente una produzione inadeguata di collagene e di sostanza cementante intercellulare, con ripercussioni sulle pareti dei vasi sanguigni e conseguenti emorragie, rallentamento della cicatrizzazione delle ferite e gengiviti.

Tramite diversi studi compiuti sia su animali che su esseri umani è dimostrata una correlazione tra l’abbassamento della pressione polmonare e un aumento dell’assunzione di vitamina C.

Il motivo di tale relazione è da ricercarsi principalmente negli aumentati livelli ematici di ossido nitrico dopo assunzione della vitamina. Questa molecola infatti rilassa la muscolatura liscia dei vasi sanguigni, rappresentando un potente vasodilatatore, ed inibisce l’adesione e l’aggregazione piastrinica.

 

Filippo Cucinella, Università Campus Bio Medico Roma

 

Sovralimentazione e medicina d’Urgenza:

quando il troppo stroppia

Se si pensa alla Medicina d’Urgenza spesso si immaginano pazienti particolarmente gravi, che necessitano di cure intensive come il trauma o l’infarto miocardico, senza considerare potenziali condizioni correlate con una cattiva alimentazione.

Statisticamente, è stato identificato un aumento della prevalenza di disturbi correlati con la sovralimentazione specialmente tra i pazienti adulto-anziani, motivando una sempre maggiore attenzione anche nei ricoverati in Medicina d’Urgenza. Le “nuove sfide” del Medico dell’Urgenza sono rappresentate anche dal diabete mellito di tipo 2 e dalla dislipidemia potenzialmente associata alla condizione iperglicemica. Tenendo comunque presente che uno stato iperglicemico/dislipidemico può anche essere semplicemente una reazione adattativa all’insulto (ad esempio trauma maggiore) a seguito ad attivazione del sistema endocrino.

La letteratura sottolinea l’importanza di un management del paziente diabetico attraverso una corretta stadiazione della patologia, secondo parametri specifici, volta a identificare il rischio di complicanze definendo valori di glicemia accettabili per quel paziente e consentendo la migliore qualità di vita possibile post-ricovero. Se invece l’iperglicemia è correlata solo all’evento, senza sospetto/diagnosi di diabete, bisognerà intervenire più “aggressivamente”, in quanto la presenza di uno stato iperglicemico persistente rappresenta fattore di rischio futuro per diabete mellito.

Come citato precedentemente, altra “compagnia frequente” del Medico d’Urgenza è il paziente obeso (a volte sovrapponibile con il paziente diabetico), riscontrando un aumento della mortalità specialmente nell’obeso che si alimenta con junk food. Nonostante molteplici studi definiscano l’obesità come protettiva da eventi avversi tipici dei reparti di Medicina d’Urgenza, il detto “grasso è meglio” è da sfatare: come risaputo, tale condizione patologica, può portare allo sviluppo di malattie come l’infarto miocardico o la pancreatite, che si vedono abitualmente gestite in Unità di Terapia Intensiva/Medicina d’Urgenza.

Il punto fondamentale del management di questi malati è, quindi, quello di prevenire la possibilità di eventi avversi durante il ricovero ospedaliero, incentrando una corretta modifica non solo dello schema terapeutico ma anche tramite una corretta educazione alimentare.

Dr. Paolo Canepa, Medico

bottom of page